giovedì, febbraio 14, 2008

A RUOTA DEL PIRATA


Sono passati 4 anni, propio oggi.
Ricordo quella sera, già dormivo. "Alberto svegliati, è morto Pantani!". Confuso, non capivo, non poteva essere vero. Rimasi così, incredulo, inebetito dalla notizia.
Davanti a voi un tifoso di Marco, una volta lo definii così:" l'uomo venuto dal mare, re della montagna, affogato nella vita". Mi sono entusiasmato per le sue imprese, come milioni di persone, non poteva essere altrimenti. Ricordo tutto. Ma quello che mi passa per primo davanti agli occhi ogni volta che penso al pirata, è quello che mi accingo a raccontare.
Luglio 2001, Pinarella di Cervia, fu quella la mia meta estiva per un paio di settimane di vacanza con la famiglia. Naturalmente trovai posto anche per la bici. Il mio "muletto rosso", quello del prestigio. Sapevo che le strade di Romagna, sono l'ideale per la specialissima. Poco traffico, e salite per tutti i gusti, il massimo per continuare ad allenarsi anche al mare. Il percorso della "nove colli" segnalato in modo permanente, come farsi sfuggire l'occasione. Cesenatico dista pochi km da Cervia, e ad ogni uscita le mie ruote puntavano in quella direzione. Passavo spesso davanti la villa di Pantani, e naturalmente rallentavo per rubare qualche immagine all'interno della stessa. Ogni volta pensavo che quella casa fosse disabitata, che Marco avesse scelto una sistemazione lontano da sguardi curiosi ed indiscreti, come il mio. Così proseguivo per la mia strada, su e giù per quei colli, dove si respira il mare. Quella mattina non fu diversa dalle altre, sempre in bici, sempre verso Cesenatico.
Arrivato davanti al "covo del pirata", vidi parcheggiate delle auto all' interno. Mi avvicinai e notai Fabiano Fontanelli, fido scudiero di Pantani, che preparava la bici, per l'allenamento. Non esitai a chiedere allo stesso, se da lì a poco fossero usciti per una sgambata. Fabiano mi disse che Marco stava finendo di vestirsi, una decina di minuti dopo sarebbero saliti in bici. Chiesi con garbo il permesso di aggregarmi; permesso che mi fu immediatamente concesso. Non ero nuovo a seguire le ruote di qualche prof, a casa lo facevo spesso. Vainsteins e la banda dei bergamaschi, sfuttavo volentieri la loro scia, almeno fino a che la strada non cominciava ad arrampicarsi, decisa ed impietosa. Nell'attesa continuai a percorrere avanti e indietro la strada davanti la villa con comprensibile euforia. Eccoli, Marco e Fabiano stavano per uscire dal grande cancello. Mi accostai timidamente, salutando con tono sommesso il pirata. Rispose pacatamente, e mi squadrò da capo a piedi, come a voler capire se fossi o meno uno dei tanti che da lì a poco lo avrebbe magari infasidito. Non era il mio caso, conosco il mestiere del corridore, mi limitai a chiedere della sua condizione, per tornare immediatamente dopo al mio posto, godendo di quell'esperienza.
Fu una sensazione strana, non sarà facile tentare di trasmetterla. Ero a ruota di Marco Pantani. Fino a poco prima lo avevo visto in tv, al giro, al tour. Quegli scatti, rasoiate per gambe e polmoni di chi osava seguirlo. La presa bassa sulla piega, quel continuo rilanciare l'andatura, quando la strada con fare irriverente, decide di sfidare il cielo. La bandana che vola, scoprendo la fronte imperlata di sudore, e poi gli occhiali, per liberarsi di tutto quello che gli avrebbe impedito di essere un po' più veloce. Adesso era lì, mezzo metro davanti la mia ruota. Il mio sguardo fisso, le mani nervose sulle leve dei freni. Le sue gambe. Abbronzate, definite e nervose, da scalatore di razza, agili ad accarezzare i pedali. Il logo del pirata sulla schiena, la bandana che svolazzava sul capo, tutto davanti a me. E poi la gente. Molti riconoscendolo si affiancavano per un caloroso saluto, così per tutta la strada: "Grande Marco, vai pirata, sei un grande!". Gli volevano bene al Panta. La gente della strada non lo aveva dimenticato, Campiglio non aveva cancellato niente nei loro cuori, aspettavano che tornasse più forte e incazzato di prima, che volasse da solo su ogni salita. Lui no. In verità lo ricordo già spento, diverso il clima che avevo vissuto durante le uscite in compagnia di Vainsteins, Cassani, Milesi, Mazzoleni. Lì ci si sfotteva, si faceva casino, non regnava quel silenzio. A tratti, e per alcuni minuti, potevo udire solo il rumore proveniente dal mezzo meccanico e dal vento che lo attraversava. Lungo la strada si unì a noi Roberto Conti, altro fidato di Marco. A quel tempo vestiva la divisa della Cantina Tollo, se non ricordo male al fianco di Danilo di Luca. Così per una trentina di km abbondanti. Arrivato ai piedi della salita che porta a San Marino salutai la preziosa compagnia, era tempo di rientrare. Volevo raccontare con l'entusiasmo di un bambino ciò che avevo provato, propio come sto tentando di fare ora. Non credo di esserci riuscito in pieno. Su Pantani è stato detto molto e scritto di più, si continuerà a farlo, anche negli anni a venire. Forse la vicenda che ha segnato il suo declino, fino al triste epilogo non verrà mai chiarita. O forse è tutto nitido, poco importa ormai. Io lo voglio ricordare così, per le sue imprese, e per quella mattina di luglio.....
...Per tutto ciò ho fatto un po' di posto nel mio cuore.

1 commento:

Frà ha detto...

Un bellissimo ritratto,scritto come sempre, con il cuore. Spero che un giorno rimarranno solo le "sue" salite, le imprese ed il sudore a ricordo di questo campione.